Incontro diocesano: l’intervento del Cardinale Angelo Scola

Ricco di pregevoli spunti di riflessione è stato l’incontro diocesano svoltosi venerdì 14 marzo 2014 nella Chiesa Cattedrale di Aversa, che ha visto l’intervento del Cardinale Angelo Scola sul tema “La speranza nel pensiero umano e contemporaneo”.

Il vescovo di Aversa, Mons. Angelo Spinillo, ha ringraziato in apertura il Cardinale Scola “per essere venuto a condividere il cammino pastorale della nostra comunità, in piena sintonia con gli orientamenti della Chiesa italiana. In questa fase del nostro percorso vogliamo educarci alla Speranza, senza la quale l’umanità non si è mai sollevata per camminare verso mete nuove e la nostra speranza più grande, come ci ha insegnato Benedetto XVI nell’enciclica ‘Spe Salvi’, è il Cristo Signore: è a lui che guardiamo con la certezza che tutto ciò che viviamo porta dentro di sé la vocazione di andare incontro al Signore”.

IMG_5178Il Papa Emerito, ha aggiunto Mons. Spinillo, faceva anche riferimento ad una serie di speranze più piccole, quelle quotidiane, attraverso le quali viviamo la speranza più grande. “Qui, però, facciamo fatica perché spesso le nostre speranze quotidiane sono deluse: viviamo con difficoltà la speranza di poter essere persone che hanno riconosciuta una loro dignità nel rapporto con il vivere civile, persone che quasi non sperano più di poter realizzare quei talenti e carismi che il Signore ha loro donato e che sembrano non essere più valorizzati nella realtà sociale. Così c’è la crisi del lavoro, del viver civile, della democrazia; in definitiva, c’è la crisi della persona, che sente la fatica di essere protagonista di un cammino verso mete più ampie. La domanda che ci poniamo per poterci educare a vivere intensamente la speranza è come conciliare le nostre piccole speranze quotidiane, affrontate con tanta fatica, e la certezza di poter contare sulla speranza che è Cristo Signore. Su questo credo abbiamo tanto bisogno di poterci confrontare”.

 

“Anch’io voglio esprimere la mia gratitudine al vostro Vescovo, Mons. Angelo Spinillo, per l’invito che mi ha rivolto”, ha esordito l’Arcivescovo di Milano. “Ho anche avuto la possibilità di conoscere qualche briciola di questa vostra gloriosa e antica chiesa, ancora oggi espressione delle non poche contraddizioni e fatiche che la società contemporanea sta vivendo in questo passaggio di millennio.

L’introduzione la traggo da un articolo di Guido Ceronetti che, nel suo pessimismo, trent’anni fa scriveva: “Così ogni mattino mi dico: dovrà pur venire qualcuno, forse oggi stesso lo sapremo, scoprendo qualcosa di cambiato in una delle solite facce che s’incontrano, e venendo disperderà con un soffio, prima di ogni altra cosa, questa verminaia terra di poteri senza legge che ci intortiglia”.

Sono parole di grande durezza e di un pessimismo eccessivo, ma che mantengono un’attualità sconcertante perché descrivono la condizione che rende reale e non utopistica l’attesa umana, ovvero la più elementare forma di speranza. L’affermazione ci fa comprendere che la speranza non può derivare semplicemente dal cambiamento delle circostanze. E se invece s’identifica con l’arrivo di qualcuno? Non siamo noi a salvarci con le nostre sole forze, dev’essere un altro a farlo con noi e per noi e parlare di un altro significa individuare il terreno fertile su cui può fiorire la speranza, che è sempre frutto di un incontro tra un io e un tuo. Questo lasciar spazio all’altro non è così comune nel mondo post-moderno, nel quale si sta attuando la forma più radicale di individualismo possibile: si sta radicando sempre di più un individualismo narcisista, che tronca alla radice la speranza perché non vede l’altro e fa precipitare in una solitudine cattiva.

IMG_5173Ma l’altro che aspettiamo deve avere una forma umana, devo poterlo riconoscere, toccare, ascoltare. Non c’è possibilità di sperare se non si incontra nella trama delle circostanze e dei rapporti che investono il nostro quotidiano quella presenza che disperderà come un soffio ciò che attorciglia, intortiglia, perché rende capaci di affrontare la realtà con due atteggiamenti simultaneamente vissuti: la meraviglia e la serietà, così come fanno i bambini. Per questo Peguy molto genialmente dice che ‘la speranza è una virtù bambina che prende per mano la fede e la carità’.

La speranza per il nostro mondo contemporaneo, per la nostra Europa si gioca a questo livello profondo. L’Europa e il Nord opulento del pianeta, stanco e affaticato per la sua storia, avrà speranza solo se sarà abitato da donne e uomini di speranza.

 

Venendo al secondo passaggio del mio intervento, la seconda lettera a Timoteo definisce Gesù Cristo “nostra speranza”. Ecco il qualcuno. Un altro autore che ritengo emblematico è Kafka che, ne ‘Il Castello’, scrive: “Colui che non abbiamo mai visto, che però aspettiamo con vera bramosia, che ragionevolmente però è stato considerato irraggiungibile per sempre, eccolo qui seduto”. Recentemente Papa Francesco, ribadendo con forza una delle linee maestre dell’insegnamento del Papa Emerito, nella Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium ha scritto: ‘Non mi stancherò di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva’. È essenziale non perdere mai di vista questa origine gratuita e altra della speranza che viene da Dio, che ci dona Cristo Gesù.

L’uomo contemporaneo è messo alla prova da una domanda radicale: dietro il silenzio dell’universo, dietro le nuvole c’è un Dio o non c’è? E se c’è, ci conosce? È buono? E la realtà del bene ha potere nel mondo? Perché non si fa sentire? Citando Benedetto XVI, ‘L’incertezza sul fatto che solitudine sia la parola definitiva sull’umano destino porta gli uomini a cedere alla tentazione di una desertificazione spirituale che conduce alla diffusione del vuoto’.

La risposta la diede il Papa Emerito in occasione del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione: ‘Dio ha rotto il suo silenzio, Dio ha parlato. Solo Dio stesso può creare la sua Chiesa, che Dio è il primo agente: se Dio non agisce, le nostre cose sono solo le nostre e sono insufficienti; solo Dio può testimoniare che è Lui che parla e ha parlato. Dio è l’inizio sempre’. Un’indicazione fondamentale affinché la nuova evangelizzazione riesca a dare speranza alla società contemporanea potrebbe essere formulata in questo modo: la precedenza è sempre di Dio, Egli parla ed opera, la Chiesa come ciascuno di noi può solo cooperare con lui.

Veniamo alla terza parte, che ho chiamato Testimoni di Speranza. Il compito dei cristiani nella nuova evangelizzazione sta nella loro responsabilità di fronte alla speranza. Essi agiscono “con” Dio, che è protagonista: l’ambito in cui si può percepire con maggiore chiarezza questo essere co-agonista è la liturgia, in cui il popolo cristiano è di fronte al Signore sempre in posizione mariana, la posizione di colei che coopera con il suo “fiat” all’iniziativa di Dio che la precede.

IMG_5172L’esperienza cristiana che spalanca la speranza ha una qualità responsoriale: la testimonianza. Mettere a tema la testimonianza come forma specifica dell’esistenza del cristiano è la strada per parlare della nuova evangelizzazione quale fonte di speranza per l’uomo contemporaneo. Ma la testimonianza non coincide con il buon esempio: infatti, come ci ha insegnato Benedetto XVI, si è testimoni quando ‘attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radica le. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo. Gesù stesso è il testimone fedele e verace’.

La parola speranza ci apre alla nuova evangelizzazione e la qualità responsoriale dell’annuncio del Vangelo ci spalanca il tema della testimonianza.

 

Voglio dunque indicare tre caratteristiche di questa testimonianza cristiana, di questa auto esposizione.

Primo. Essa non è qualcosa di aggiunto alla vita quotidiana normale, non è un’attività in più rispetto al ritmo quotidiano della nostra vita, la testimonianza coincide con la vita cristiana matura, che si esprime attraverso i cardini dell’esistenza che sono gli affetti, il lavoro, il riposo. Il testimone è colui che è consapevole che questi elementi costitutivi della sua vita rappresentano la sua responsabilità missionaria. La testimonianza, quindi, è uno sforzo in più, è la vita assunta in verità.

Secondo. La testimonianza ci rende interlocutori di tutti: non c’è niente o nessuno che debba essere estraneo ai seguaci di Cristo. A tutto e a tutti siamo inviati, tutto e tutti possiamo incontrare, come ci ha detto Papa Francesco, ‘siamo chiamati a promuovere la cultura dell’incontro’.

Terzo. Abitando il mondo, i discepoli di Gesù sono pieni di attenzione e di stupore, il seminatore non si stanca di spargere il seme buono. Il discepolo sa di essere preceduto e atteso da Gesù in queste periferie dell’umana esistenza.

Al cuore della crisi di speranza del nostro tempo c’è spesso l’aver smarrito o almeno sbiadito la coscienza della gratuità dell’incontro con Cristo che sempre ci precede e ci aspetta. La domanda adesso è: chi vuole essere l’uomo del terzo millennio? Come può evitare di perdere se stesso nel tentativo di guadagnare il mondo intero?

I cristiani sono chiamati ad essere presi a servizio del disegno buono con cui Dio accompagna la libertà degli uomini. In questi convulsi tempi di cambiamento, le dimensioni della comune esperienza umana – affetti, lavoro, riposo – provocano in tutti i cristiani una verifica non più rinviabile.

IMG_5176La figura di don Peppe Diana a venti anni della sua scomparsa ci insegna proprio che i cristiani sono chiamati ad impegnarsi con maggior vigore ed energia in quell’eminente forma di lavoro e carità che è la politica, intesa nel senso più ampio.

Della compagnia di Dio – ha osservato il Cardinale Angelo Scola avviandosi alla conclusione – nessuno potrà avere timore soprattutto se i cristiani, resistendo alla tentazione dell’egemonia e attingendo al metodo della testimonianza che è proprio di Gesù, sapranno fare della loro differenza specifica la via di una proposta umile e tenace. Incontreranno, in tal modo, l’insopprimibile anelito di speranza degli uomini, che rinasce sempre dalle proprie ceneri per volontà di Dio, che è più esigente di noi per la nostra felicità.

Il frammento di pienezza, che non si spegne mai del tutto nell’uomo, ridesta nel suo cuore la speranza e, quindi, la nostalgia di Dio.

Questa riuscita umana, il compimento della speranza che trascina con sé la fede e la carità ha un nome semplice: santità. Infatti il santo, che noi tutti possiamo essere, altro non è che un uomo riuscito.