P. Vergara dalla partenza per la Birmania alla prigionia in India

Vergara-x-sliderNon era trascorso un mese dall’ordinazione sacerdotale quando il P. Vergara aveva già ricevuto la notizia della sua destinazione alla missione del Toungoo, in Birmania.
Suoi compagni di partenza sarebbero stati: PP. Grazioso Banfi e Giovanni Camnasio per la missione di Kengtung; PP. Giovanni Bracco e Geremia Arosio per la missione di Weihwei; PP. Anchise Rasi e Carlo Merlo per la missione di Bezwada; P. Anselmo Finelli per la missione di Hyderabad; P. Antonio Botolo e Fr. Vittorio Pellegrini per la missione di Dinajpur; PP. Antonio Zago e Luciano Aletta per la missione di Hong Kong.
Questi dodici missionari del PIME si raccolsero per una settimana, nel silenzio e nella preghiera, presso il Collegio dei Padri Oblati di Rho (Milano), all’ombra del santuario della madonna del pianto, per impetrare le virtù apostoliche da Dio. Il P. Giuseppe Strizoli, che fu testimone di quanto avvenne nei giorni seguenti a quella settimana di grazia, così raccontò gli avvenimenti del 20 e 21 settembre 1934: ‹‹La sera del 20 settembre, raccolti nella devota chiesa pubblica dell’Istituto, presenti le comunità dei chierici dei fratelli, davanti al simulacro dell’Apostolo delle Indie, i partenti ricevettero dalle mani del nuovo Superiore Generale S.E. mons. Balconi la pagella di missionario apostolico; il momento sognato e sospirato da tanti anni era finalmente giunto!››.
P. Vergara arrivò nella missione di Toungoo nell’ottobre 1934, essendo vescovo mons. Emanuele Sagrada, il quale fu missionario per 55 anni in Birmania, vicario apostolico di Toungoo dal 1908 al 1937, e si può a ragione considerare l’organizzatore della Chiesa nella Birmania orientale. Politicamente, al tempo in cui il p. Vergara andò in Birmania, il paese era sotto la sovranità britannica e faceva parte dell’Impero indiano. Durante la seconda guerra mondiale fu occupata dai giapponesi, liberata nel 1945 dagli inglesi, nel 1948 ottenne finalmente l’indipendenza. La sera del 4 novembre 1934, il P. Vergara con i suoi compagni di viaggio P. Giovanni Camnasio e P. Grazioso Banfi arrivarono a Toungoo, mentre questi due proseguirono per Moulmein per lo studio dell’inglese presso i Fratelli delle Scuole Cristiane, P. Vergara fu trattenuto a Toungoo, perché lì non c’era posto per lui. Nel frattempo fu affidato alle cure del P. Ziello, già suo maestro nel seminario di Aversa, per la pratica di quella lingua. In seguito fu affidato alle cure del P. Giovanni Resinelli per lo studio del birmano. P. Resinelli, in quel tempo (1935) era ancora vicario generale e aveva al suo attivo già 42 anni di missione, essendo arrivato in Birmania nel 1893. ‹‹Allo studio di queste lingue locali, in cui fu impegnato nei primi due anni di missione, P. Vergara si applicò con pazienza e cura meticolosa, anzi con vera passione, attestava il P. Ziello, tanto che in un tempo relativamente breve fu in grado di parlarle tutte››. Alla fine del 1935 mons. Sagrada lo inviò nel distretto di Citaciò, tra i Cariani rossi, abitanti sui monti, un distretto ove negli anni precedenti avevano lavorato il P. Alfredo Lanfranconi, il P. Ernesto Ravasi e fino al 1936 il P. Pietro Mora. Citaciò, allora era un villaggio fuori mano, situato sui monti e circondato da altri 29 villaggi cattolici. La popolazione, di razza cariana, della tribù dei Sokù era buona, ma molto povera e arretrata. ‹‹A Citaciò – scriveva P. Vergara sulla rivista Le Missioni Cattoliche, 1937 – non vi sono strade di comunicazione, ma sentieri e viottoli che sono impraticabili durante i mesi delle piogge. L’unica ricchezza del paese è costituita dal poco, dico poco, bestiame che si vende o si uccide in caso di sponsali. Vestiti? Disinvoltura massima: una camicia ed un paio di brachette per tutte le quattro stagioni, che una volta indossate non si depongono se non quando sono ridotte a brandelli; con quanto a discapito dell’igiene ognuno se lo può immaginare››. Quando P. Vergara arrivò a Sokù , tutto il distretto soffriva la fame, già da due anni non si faceva il raccolto del riso a causa dei topi che divoravano tutto. P. Mario si impegnò ad aiutare la gente a superare il flagello. Esaurì tutte le risorse di riso presenti nel villaggio principale di Citaciò e la gente prese ad amarlo, sentimento che suscitò molte conversioni. Nei sei anni che trascorse a Citaciò, P. Vergara si sforzò costantemente di attuare il suo programma di evangelizzazione soprattutto con l’aiuto dei catechisti, da lui ritenuti indispensabili per penetrare nell’ambiente pagano. A capo di ognuno dei 29 villaggi del distretto di Citaciò c’era uno di loro, responsabile della preghiera, della scuola e della vigilanza sulla comunità cristiana. Periodicamente si recava in quei villaggi, affrontando lunghi e disagiati viaggi a piedi, su per i monti, per dare la possibilità di accostarsi ai sacramenti. Un particolare che lo distingueva dagli altri era la cura degli ammalati. Dopo il suo arrivo in missione P. Vergara aveva studiato anche manuali di medicina per rendersi utile ai suoi poveri Sokù, spesso affetti da malaria. Mentre il P. Vergara era nel pieno della sua attività missionaria, il 10 giugno 1940, l’Italia dichiara guerra all’Inghilterra. Il primo gesto del Governatore inglese della Colonia birmana, fu quello di concentrare i missionari italiani, residenti nelle missioni di Toungoo e di Kengtung, in luoghi vigilati e controllati dai soldati coloniali. I missionari vennero inviati nei campi di prigionia in India. La vita nei campi di detenzione era dura, ma i missionari si facevano forza e si incoraggiavano vicendevolmente. Anche a P. Mario toccò quella sorte. Il 16 gennaio 1942 venne internato nel campo di Katapahar in India, il 30 giugno trasferito in quello di Ramgarh e il 22 luglio spostato in quello di Dheoli. Poi il 5 marzo dell’anno successivo fu la volta di Dehradun. Era indebolito, stanco, provato moralmente e scosso sul piano nervoso. Ebbe una peritonite, paralisi, attacchi cardiaci, malaria e due piccoli interventi alle orecchie. Solo verso la fine del 1944 cominciarono a essere rilasciati i primi padri, perché tornassero alle loro missioni in India. La guerra volgeva alla fine e gli italiani, dopo l’armistizio, non erano più considerati nemici. Anche P. Mario, dopo quattro anni di internamento venne lasciato. Ma non poteva andare ancora in Birmania. Liberato il 5 Gennaio del 1945, fu inviato dai superiori in una missione nella diocesi di Hyderabad. Nell’agosto del 1945, il governatore della Birmania diede l’autorizzazione ai padri a poter tornare nel Paese. Purtroppo vari problemi di salute lo costrinsero a restare in India e solo alla fine del 1946 ritornò nella sua Birmania.

Don Davide Sglavo – Arturo Formola

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